Parole: per spararne una grossa non serve premere il grilletto

Se giochi con una pistola lo sai che può fare del male. Sai che puoi spaventare o anche uccidere. A volte qualcuno lo dimentica, parte un colpo e un innocente cade in terra, vittima della crudeltà, oppure soltanto della esecrabile banalità della noncuranza. Nella maggior parte dei casi, quando questo avviene, si tratta di disgrazie, di tragedie senza altri colpevoli se non la leggerezza, la superficialità assassina di chi ha sottovalutato il pericolo e ha giocato con qualcosa con cui non si dovrebbe mai giocare. Perché non si gioca con qualcosa che può far male o uccidere gli altri.
Serve il porto d’armi, per tenere in casa una pistola. La devi denunciare alle autorità, per poterla detenere e per usarla ti devi allenare al poligono di tiro, perché non è consentito sparare a caso o sperare nella buona sorte, quando premi il grilletto e lasci che il colpo solchi la canna ruotando vorticosamente e fenda l’aria, fino al punto di impatto. Sono molte le attività e le responsabilità che la legge tiene sotto controllo, punendo con il carcere chi mette a rischio il prossimo giocando con qualcosa di pericoloso, ma per portare in giro il pensiero e le parole, in rete o nella vita di tutti i giorni, non servono esami né licenze, anche se chiunque può difendersi e tutelarsi presso la legge con avvocati e querele, se chi dice o scrive qualcosa contro di noi passa il limite.

Calunnia, diffamazione, minacce e ricatti sono da sempre oggetto di cause e di condanne, ma internet e il web hanno aperto scenari nuovi, dando a miliardi di persone nuove e potentissime opportunità per mettere in pericolo sé stessi e gli altri, con le parole, con i pensieri, con infinite tipologie di contenuti e pratiche che possono far male quanto un’arma, un’automobile, un camion, un boxeur o un karateca che abbiano perso il controllo. Non servono licenze né esami, per scrivere sui social media, e non c’è nessuno che non possa accedervi e mettersi alla prova, scaricando le proprie frustrazioni, paure, rabbie e convinzioni su pagine della rete che qualcuno inevitabilmente consulterà, per quanto sia ristretta la cerchia di contatti di chi ha scritto o quale che sia la sua consapevolezza di utilizzare canali fondamentalmente aperti e pubblici.

Questo non significa che si debba pretendere il rilascio di una licenza, per poter utilizzare i social media e la rete internet. Pensare, scrivere, produrre contenuti, è sempre stato e deve rimanere libero per tutti e nessuno, io credo, dovrebbe neppure permettersi di giudicare le capacità e i limiti di chi lo fa, benché faccia oggettivamente orrore leggere errori grammaticali, storpiature, cumuli di lettere e di parole stentate e spesso impossibili da decifrare.
Pensare e scrivere in rete non deve essere limitato ad una élite e neppure soggetto ad uno o più esami di idoneità, ma è urgente e indispensabile individuare una modalità e una strada per lavorare sulla consapevolezza e sulla responsabilizzazione degli utenti del web, perché questa grande opportunità che è internet non diventi impossibile da utilizzare ed estremamente pericolosa.

Le parole sono preziose, ci permettono di descrivere la realtà, di raccontare quello che accade, di tramandare la nostra conoscenza. Se la razza umana è arrivata sin qui, con tutte le criticità, i limiti, i pericoli e le sfide che questo nuovo millennio ci sta imponendo di affrontare, il merito (e la colpa) è soltanto delle parole, scritte su documenti e libri sui quali le generazioni hanno di volta in volta studiato il passato e le conoscenze acquisite, per poi generarne di nuove senza partire ogni volta da zero, reinventando la ruota o tornando a scoprire il fuoco.

Le parole sono le fondamenta del sapere, le solide basi su cui si sono sviluppate tutte le civiltà e che hanno reso possibili tutti i progressi e tutte le conoscenze del genere umano. Ma le parole possono anche far male, ferire, distruggere, uccidere. Esse possono generare morte e ogni giorno questo si verifica, in tutto il mondo, con le stesse drammatiche modalità che si ripetono in lingue diverse e con differenti modalità.

È su questo che occorre agire, in fretta e con determinazione: sulla consapevolezza, sulla responsabilità e sulla capacità delle persone di comprendere davvero quello che leggono, di analizzare, di riflettere e di usare le parole con saggezza, per il bene di tutti e per progredire, piuttosto che per insultare o per fare del male. Questa è la sfida, ardua, spesso quasi impossibile, ma centrale, urgente, degna della massima attenzione e di investimenti importanti, se davvero vogliamo un futuro migliore.

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