30 Giugno 2020

Le parole hanno conseguenze, Donald

Tempo di lettura 4′ minuti
Era maggio del 2017 e la nostra associazione pubblicava su YouTube il video del Manifesto della comunicazione non ostile. Solo 6 mesi prima Donald Trump era stato eletto 45° Presidente degli Stati Uniti d’America. 

In un frame di quel video il protagonista è un dinosauro-politico (con le sembianze di Trump ) e la canzone in sottofondo recita così: “E che dire di chi incita e scatena violenza, senza sentirsi mai responsabile. Credo non abbia del tutto compreso che ciò che comunichiamo è la nostra vera essenza”.     


Siamo stati profetici?
La nostra risposta è no. 
Lo stile comunicativo di “The Donald” era noto. Il New York Times, ad esempio, aveva già pubblicato la famosa lista con tutte le persone, i luoghi e le cose che aveva insultato via Twitter durante la sua campagna elettorale.    
Sono le due pagine pubblicate sul New York Times il 24 ottobre 2016.
E da quel 2016 ad oggi gli insulti, le fake news e le aggressioni dell’attuale Presidente non si sono più contati. 

Si poteva fermare questa violenza verbale? 
La nostra risposta è sì. 
In tante occasioni si poteva contenere l’irruenza del Presidente ma si è scelto di non farlo. Le motivazioni che hanno portato le big tech a non prendere provvedimenti sono tantissime e di varia natura. Dalla libertà di parola, all’importanza dei cittadini di conoscere le idee e lo stile comunicativo del Presidente degli USA, passando per l’impossibilità di prevedere un’escalation di violenza di queste proporzioni. 

Ed è così che, quattro anni dopo, il mondo si è ritrovato ad assistere all’assalto di uno dei parlamenti più importanti del pianeta, conclusosi con la morte di 5 persone. 
A seguito di questi sanguinosi eventi, molte piattaforme social hanno preso delle decisioni drastiche nei confronti di Trump, accusato di continuare a sobillare i suoi sostenitori: 
– Twitter ha sospeso a tempo indeterminato l’account
– Facebook lo ha sospeso almeno fino al passaggio di consegne con il Presidente eletto Biden (20 gennaio)
– Snapchat, Twitch e Tik Tok lo hanno sospeso fino ad un nuovo avviso
– YouTube ha eliminato il video pubblicato il 6 gennaio nel quale si riferiva ai rivoltosi con queste parole: “Go home. We love you – (Andate a casa. Vi amiamo)”
È la schermata dell’account Twitter di Trump, sospeso definitivamente lo scorso sabato.
Hanno fatto bene Twitter, Facebook, YouTube, Google, etc… a cancellare gli account social di Donald Trump? 
La risposta è complessa.  

E lo è perché i fattori da considerare sono tanti: 
  • i principali social media sono aziende private e come tali libere di pensare e agire per se stesse
  • anche se aziende private, la loro funzione pubblica è indiscussa   
  • Trump non è un semplice cittadino ma il Presidente degli Stati Uniti e solamente su Twitter ha (aveva!) 88 milioni di follower
  • la moderazione dei contenuti social risulta un’attività molto complessa e con troppe zone grigie, tuttavia le aziende si sono mosse poco e male in questi anni
  • gli algoritmi (quell’insieme di fattori che decide quali post mostrare e a quali persone) possono essere un ostacolo per una corretta dieta mediatica    
  • ad oggi non esiste una legislazione (nazionale e/o internazionale) che normi il potere, per le poche piattaforme social, di condizionare la conversazione pubblica 
  • (in ultimo, ma non per importanza) finora il bello della rete è stato quello di un luogo nato libero, dove ciascuno può esprimere la propria opinione.
Dopo questo lungo elenco, al quale si possono ancora aggiungere tantissime voci,  l’unica cosa di cui siamo certi è che questi episodi hanno obbligato semplici utenti, esperti del settore, studiosi, giornalisti e politici a iniziare una riflessione strutturata sul tema delle conseguenze della violenza verbale online e della diffusione delle fake news.  

Le posizioni attualmente sono molto variegate ed è per questo che abbiamo voluto raccogliere alcune di quelle che, a nostro parere, aggiungono un pezzettino al puzzle molto complicato della questione. 

Vogliamo concludere questo lungo racconto condividendo una riflessione che Luciano Floridi, professore di filosofia ed etica dell’informazione a Oxford, ha rilasciato a Martina Pennisi sul Corriere della Sera:

Dobbiamo riprenderci le chiavi di casa. Adesso sono nelle mani di queste aziende e dobbiamo rivolgerci a loro per sistemare quello che non funziona. Le aziende devono essere responsabilizzate […] La disintermediazione che ha dato a Trump la possibilità di rivolgersi a chiunque esiste, ma passa per una nuova mediazione fatta di algoritmi che non può essere regolamentata come quella vecchia. È come se dovessimo fare una sorta di costituente di un mondo che si sta materializzando sotto i nostri occhi. Bisogna intervenire con fermezza dal punto di vista etico e giuridico […]



Ed è anche per tutto questo che Parole O_Stili continuerà con ancora più convinzione a divulgare, attraverso il Manifesto, comportamenti rispettosi e civili affinché la Rete diventi un luogo accogliente e sicuro per tutti. 

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