Ciao!
Iniziamo subito con uno dei temi più complessi e importanti di questi anni: la disinformazione.
disinformazióne s. f. Diffusione intenzionale di notizie o informazioni inesatte o distorte allo scopo di influenzare le azioni e le scelte di qualcuno.
Ovviamente i canali principali dove questa si diffonde sono le piattaforme di social media, ma c’è l’IA che sta aumentando la complessità del contrasto alla disinformazione. Senza contare troll, bot e account con false identità che sono utilizzati per "viralizzare" certi tipi di contenuti tossici, soprattutto attraverso sofisticate operazioni di micro-targeting e posizionamento ottimizzato che permettono di indirizzare contenuti manipolati a specifici gruppi di utenti, aumentando l'impatto della disinformazione.
Una conseguenza concreta delle fake news?
Lo spiega la rivista scientifica Lancet in un articolo di recente pubblicazione: “
Oggi i contenuti fuorvianti dei social media pervadono le informazioni sulla prevenzione e il trattamento del cancro; possono indurre i pazienti ad abbandonare i trattamenti basati sulle prove in favore di alternative sostenute dagli influencer; minimizzano la gravità delle condizioni di salute mentale”.
Per capirci qualcosa in più abbiamo realizzato un’indagine sul tema insieme a Ipsos, Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e con il contributo di Fondazione Cariplo, dal titolo “Alfabetizzazione digitale & Fake News” che ha coinvolto oltre 4.800 studenti di scuole secondarie di primo e di secondo grado.
Una ricerca condotta con una metodologia innovativa, poiché non solo è stata rilevata l’auto-percezione degli/delle adolescenti in merito alle loro competenze digitali, ma è stata proposta la visione di fake news certificate come tali ed è stato indagato in tempo reale il loro comportamento al riguardo.
Giovani e fake news
I dati principali ci dicono che:
- il 51% utilizza WhatsApp, Instagram e TikTok come fonti di informazione;
- quasi un giovane su 3 mette un like alle fake news sui social, ma il 70% ritiene di saper riconoscere una fake news;
- le ragazze condividono il 61% in più di fake news rispetto ai ragazzi, mentre i giovani del Sud Italia hanno tassi di like e condivisione più elevati rispetto al Centro e al Nord;
- l’80% dei giovani ritiene che la scuola dovrebbe fornire strumenti per riconoscere le fake news.
La ricerca ha rilevato che, in media, il 31% dei giovani utenti mette like alle fake news presentate, mentre una percentuale molto minore (pari al 7%) le condivide, suggerendo una netta distinzione tra engagement passivo e attivo. Delle 10 fake news proposte, il 73% degli studenti non ne condivide nessuna, mentre il 5% è responsabile di quattro o più condivisioni. Per i like, la distribuzione è più uniforme: il 35% non ha mai messo like, mentre il 34% ne ha messi quattro o più.
Sull’approccio alle fake news emergono, inoltre, alcune differenze significative sia relativamente al genere, le ragazze condividono il 61% in più di notizie non verificate, sia geografiche, con gli adolescenti delle regioni del sud del Paese che, mostrano tassi più elevati sia di condivisioni sia di like rispetto ai giovani del centro e nord Italia.
Tra i fattori che influenzano maggiormente la possibilità di contribuire al diffondersi delle fake news, il principale è il tempo che si trascorre sui social media: infatti, chi usa i social 3-4 ore al giorno condivide 5,5 volte più fake news e mette 12 volte più like rispetto a chi invece li usa meno di un’ora.
Secondo il campione intervistato le notizie (anche false) sui social influenzano opinioni e comportamenti delle persone. Va però osservato che 7 ragazzi su 10 ritengono di essere in grado di riconoscere una notizia falsa sui social e 3 intervistati su 4 cercano di fare fact checking su fonti affidabili. Per l’80% dei ragazzi e delle ragazze l’educazione scolastica dovrebbe fornire strumenti utili a riconoscere le fake news. In generale, comunque, la condivisione di notizie sui social senza averne prima verificato la veridicità è considerato un comportamento grave.
A proposito di utilizzo dei social…
Sempre nell’indagine è emerso che, innanzitutto, che 9 studenti di scuola media su 10 hanno un account social, mentre quasi 1 under 14 su 2 (il 46%) è presente su TikTok e Instagram.
Per cosa li utilizzano? Il 74% riporta di trovarsi spesso a ricorrere ai social per rapportarsi con la propria rete amicale e di conoscenti e nel 69% dei casi per leggere i post dei propri contatti, il 51% ammette di utilizzarli spesso come canali di informazione per leggere notizie di interesse.
E proprio per venire incontro alle nuove necessità di cittadini della Rete e delle nostre comunità sociali che il Consiglio d’Europa ha proclamato il 2025 come anno dell’educazione alla cittadinanza digitale.
Con quale obiettivo? Per preparare i cittadini e le cittadine a:
- pensare in modo critico e navigare con consapevolezza nel mondo digitale;
- rispettare diritti e libertà digitali, sia propri che altrui;
- partecipare attivamente alla vita online, contribuendo a una società più inclusiva e democratica;
- garantire sicurezza e benessere, proteggendosi da minacce come molestie online, furto d’identità e fake news.
Eppure, l’Europa soffre di uno svantaggio digitale profondo rispetto a altre parti del mondo. Ad esempio, non abbiamo abbastanza laureati e laureate in materie STEM, non si fa abbastanza ricerca in ambito tech (ad esempio, gli investimenti globali nell’ambito dell’ IA mostrano un deciso primato degli Stati Uniti, con il 70% delle risorse private impegnate in questo settore, mentre l’Europa – sommando UE e Regno Unito – si ferma all’11%), né abbiamo adeguate infrastrutture come, ad esempio, piattaforme cloud e dei sistemi di telecomunicazione 5G.
Contrastare la disinformazione è una sfida cruciale per il presente e il futuro. I dati lo confermano: il digitale è il principale veicolo di diffusione delle fake news, ma può diventare anche il primo strumento per combatterle.
La scorsa settimana abbiamo parlato del Presidente argentino Milei che aveva introdotto dei documenti ufficio parole come "idiota”, “imbecille” e “mentalmente debole” per parlare di persone con disabilità. Questa settimana è il turno di Donald Trump.
Il “The News York Times” ha visionato promemoria governativi, linee guida ufficiali e non ufficiali delle agenzie per notare che c’è un lunga lista di parole che sono state bandite dai siti web pubblici o da altri materiali istituzionali (inclusi i programmi scolastici).
Saranno parole di insulto e offensive della dignità delle persone? No, ci sono parole come “antirazzismo”, “razzismo”, “pregiudizio”, “differenze culturali”, “disabilità”, “uguaglianza”, “discorsi d'odio”.
E sì, anche “donna”.