Una parola: misinformazione
È una notizia falsa o sbagliata che viene diffusa per errore ma senza la volontà di ingannare. Non nasce con cattive intenzioni, ma fa comunque danni. Perché un’informazione sbagliata, se condivisa molte volte, può diventare pericolosa.
Spesso chi la diffonde non sa nemmeno che sia falsa: la legge online, ci crede, e la gira ad amici o colleghi “perché non si sa mai”. Così la misinformazione si muove veloce, soprattutto nei momenti di incertezza, di crisi o sui temi che ci toccano da vicino: salute, scuola, politica, guerra.
Un esempio recente di misinformazione? La condivisione della notizia della nascita dopo 10.000 anni del metalupo. Sicuramente l’hai letta almeno una decine di volte ma, ecco, non era una vera e proprio notizia. Procediamo per ordine.
Alcuni giorni fa l’azienda americana privata Colossal Biosciences, che già lavora per riportare alla luce animali estinti come il dodo o il mammut, ha annunciato un nuovo esperimento: far rivivere il “metalupo”, una specie vissuta migliaia di anni fa e scomparsa dalla Terra circa 13.000 anni fa.
Come ci sono riusciti? Grazie a una tecnica che si chiama de-estinzione. Il nome è un po’ fantascientifico, ma l’idea è semplice: provare a ricostruire una specie estinta partendo dal DNA, cioè dal suo codice genetico. Sì, esatto, proprio come Jurassic Park!
Nel giro di poche ore la notizia ha fatto il giro del mondo: telegiornali, siti web, social… ovunque si parlava del metalupo “riportato in vita”. Ma l’esperimento è davvero riuscito? La risposta è semplice: no.
È vero che sono state effettuate 20 modifiche su 14 geni, ma i cuccioli nati — tenerissimi, sì — hanno ancora oltre il 90% del DNA da lupo grigio. Non si tratta quindi di una vera “de-estinzione”, ma di un primo passo della ricerca genetica.
Eppure, la notizia è stata condivisa ovunque, spesso senza contesto. Questo è un esempio perfetto di misinformazione: una notizia imprecisa che, anche se diffusa in buona fede, finisce per generare confusione.
In casi come questo, le conseguenze sono reali: si alimenta la disinformazione scientifica, si creano aspettative irrealistiche o paure infondate. C’è chi pensa: “Allora possiamo riportare in vita qualsiasi animale! Che importa se oggi certe specie si stanno estinguendo?”
Ecco perché serve un po’ di attenzione in più.
Prima di cliccare su “condividi”, fermiamoci un attimo.
Leggiamo bene, verifichiamo, approfondiamo.
Perché la scienza ha bisogno di cura, e anche le parole.
In un tempo in cui troppo spesso parliamo di violenza sugli spalti, genitori che urlano contro arbitri o allenatori, insulti che rimbalzano dentro e fuori dal campo, arriva una notizia diversa. Una notizia che ci fa respirare. Una notizia che ci fa dire questo è “Lo sport che ci piace”, proprio come dice la nostra campagna di sensibilizzazione contro la violenza delle parole nel mondo sportivo.
Siamo a Verona, in una partita del campionato giovanile Under 14. Il San Martino Giovani sta vincendo 2 a 0 contro la Napoleonica. A un certo punto, l’arbitro — probabilmente ingannato da una visuale sfortunata — assegna un rigore che non c’era. Nessun fallo, nessun contatto vero. Solo un errore umano, come capita anche ai migliori. E lì succede qualcosa di speciale. L’allenatrice Marina Venzo sa cosa fare e dà indicazioni chiare e coraggiose al capitano.
Il capitano obbedisce. Va sul dischetto. E calcia fuori apposta.
Giovedì 17 aprile
Ore 14:30 | Continua la formazione presso l’IC Tiziana Weiss di Trieste sull’Intelligenza Artificiale generativa nei contesti educativi.