E se un Presidente dice “Mi baciano il cul…”? | Parole O_Stili
il disegno di donald trump dinosauro che parla a un comizio con accanto due guardie del corpo

E se un Presidente dice “Mi baciano il cul…”?

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14/04/25

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Ciao!
“Mi baciano il cul…”
Facciamo un test (di quelli facilissimi).
Chi ha pronunciato questa frase in pubblico?
- Lucia, rappresentante d’Istituto a Poggibonsi
- Mario, consigliere al Circolo Pensionati “La Ginestra”
- Donald Trump, Presidente degli Stati Uniti d’America
Esatto, il Presidente Trump!
Nel corso di un discorso alla cena presidenziale del Comitato Nazionale Repubblicano del Congresso, il presidente USA ha affermato che molti Paesi lo stavano chiamando e “baciando il mio co**” per negoziare le tariffe doganali, poco prima della loro entrata in vigore.
Poche ore dopo, in un’altra stanza della Casa Bianca, un altro membro dell’amministrazione ha scelto toni decisamente accesi. Questa volta si tratta di Elon Musk, a capo del nuovo Dipartimento per l’Efficienza Governativa. In un post pubblicato su X, Musk ha attaccato duramente Peter Navarro, economista e figura chiave nella politica dei dazi americani, definendolo — testualmente — “più stupido di un sacco di mattoni (“dumber than a sack of bricks”).
L’uso dell’insulto, la riduzione eccessiva della complessità e il rifiuto delle forme linguistiche istituzionali rappresentano oggi tratti strutturali di un modello comunicativo che si dichiara apertamente anti-sistema.Si tratta di un linguaggio che rompe, in modo deliberato, con il decoro e con le convenzioni del discorso politico tradizionale.
Ma forse l’aspetto più preoccupante è un altro: ci siamo abituati. Abbiamo finito per normalizzare questa forma di comunicazione ostile, al punto che parole e toni che un tempo avremmo ritenuto inaccettabili, oggi vengono accolti con indifferenza o, peggio, con compiacimento.
Cosa succede quando a parlare così è il Presidente degli USA?
Quando queste pratiche linguistiche vengono adottate dal presidente degli Stati Uniti – la figura più alta e simbolica della democrazia americana e mondiale – questo tipo di linguaggio diventa modello, esempio, e viene quindi legittimato.
Quando il presidente degli Stati Uniti sceglie di usare parole offensive o divisive il rischio è di far percepire le istituzioni non come luoghi di garanzia per tutti e tutte, ma come strumenti al servizio di una parte sola. Un linguaggio basato sul “noi contro loro” alimenta la rabbia e, in un clima così, chi ha un’idea diversa non viene ascoltato ma attaccato, mentre il compromesso – che in democrazia è fondamentale – viene visto come una debolezza, non come un valore.
In questo tipo di comunicazione contano più le emozioni che la ragione. Le parole vengono scelte per colpire. E quando il linguaggio diventa un’arma, la politica smette di essere un luogo di confronto.
Anni fa, nel 2017, abbiamo voluto dare il nostro piccolissimo contributo per migliorare il confronto politico attraverso il Manifesto della comunicazione non ostile per la politica. È una bussola nata con l'obiettivo di promuovere un linguaggio rispettoso e responsabile nel dibattito politico, sia online che offline. È una delle declinazioni del nostro Manifesto ed è pensato per chi opera nella sfera pubblica e istituzionale, in particolare per politici, giornalisti, attivisti e comunicatori politici.
il manifesto della comunicazione non ostile per la politica

Una parola: misinformazione

È una notizia falsa o sbagliata che viene diffusa per errore ma senza la volontà di ingannare. Non nasce con cattive intenzioni, ma fa comunque danni. Perché un’informazione sbagliata, se condivisa molte volte, può diventare pericolosa.
Spesso chi la diffonde non sa nemmeno che sia falsa: la legge online, ci crede, e la gira ad amici o colleghi “perché non si sa mai”. Così la misinformazione si muove veloce, soprattutto nei momenti di incertezza, di crisi o sui temi che ci toccano da vicino: salute, scuola, politica, guerra.
Un esempio recente di misinformazione? La condivisione della notizia della nascita dopo 10.000 anni del metalupo. Sicuramente l’hai letta almeno una decine di volte ma, ecco, non era una vera e proprio notizia. Procediamo per ordine.
Alcuni giorni fa l’azienda americana privata Colossal Biosciences, che già lavora per riportare alla luce animali estinti come il dodo o il mammut, ha annunciato un nuovo esperimento: far rivivere il “metalupo”, una specie vissuta migliaia di anni fa e scomparsa dalla Terra circa 13.000 anni fa.
Come ci sono riusciti? Grazie a una tecnica che si chiama de-estinzione. Il nome è un po’ fantascientifico, ma l’idea è semplice: provare a ricostruire una specie estinta partendo dal DNA, cioè dal suo codice genetico. Sì, esatto, proprio come Jurassic Park!
Nel giro di poche ore la notizia ha fatto il giro del mondo: telegiornali, siti web, social… ovunque si parlava del metalupo “riportato in vita”. Ma l’esperimento è davvero riuscito? La risposta è semplice: no.
È vero che sono state effettuate 20 modifiche su 14 geni, ma i cuccioli nati — tenerissimi, sì — hanno ancora oltre il 90% del DNA da lupo grigio. Non si tratta quindi di una vera “de-estinzione”, ma di un primo passo della ricerca genetica.
Eppure, la notizia è stata condivisa ovunque, spesso senza contesto. Questo è un esempio perfetto di misinformazione: una notizia imprecisa che, anche se diffusa in buona fede, finisce per generare confusione.
In casi come questo, le conseguenze sono reali: si alimenta la disinformazione scientifica, si creano aspettative irrealistiche o paure infondate. C’è chi pensa: “Allora possiamo riportare in vita qualsiasi animale! Che importa se oggi certe specie si stanno estinguendo?”
Ecco perché serve un po’ di attenzione in più.
Prima di cliccare su “condividi”, fermiamoci un attimo.
Leggiamo bene, verifichiamo, approfondiamo.
Perché la scienza ha bisogno di cura, e anche le parole.

Lo sport che ci piace

In un tempo in cui troppo spesso parliamo di violenza sugli spalti, genitori che urlano contro arbitri o allenatori, insulti che rimbalzano dentro e fuori dal campo, arriva una notizia diversa. Una notizia che ci fa respirare. Una notizia che ci fa dire questo è “Lo sport che ci piace”, proprio come dice la nostra campagna di sensibilizzazione contro la violenza delle parole nel mondo sportivo.
Siamo a Verona, in una partita del campionato giovanile Under 14. Il San Martino Giovani sta vincendo 2 a 0 contro la Napoleonica. A un certo punto, l’arbitro — probabilmente ingannato da una visuale sfortunata — assegna un rigore che non c’era. Nessun fallo, nessun contatto vero. Solo un errore umano, come capita anche ai migliori. E lì succede qualcosa di speciale. L’allenatrice Marina Venzo sa cosa fare e dà indicazioni chiare e coraggiose al capitano.
Il capitano obbedisce. Va sul dischetto. E calcia fuori apposta.

Appuntamenti

Giovedì 17 aprile
Ore 14:30 | Continua la formazione presso l’IC Tiziana Weiss di Trieste sull’Intelligenza Artificiale generativa nei contesti educativi.
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