Ciao!
Oggi torniamo su un argomento di cui abbiamo spesso parlato e che ci sta molto a cuore: il mondo della scuola, dei minori e l’utilizzo consapevole degli strumenti digitali.
Proprio perché è un tema importantissimo vogliamo dedicargli l’intero numero de “Il Megafono giallo”. Quindi, perdonaci… saremo monografici. 😉
Dal 2017 lavoriamo a contatto con tutte le generazioni per raccontare loro che gli strumenti digitali vanno governati con consapevolezza, con educazione e con cultura. Se non costruiamo un rapporto solido e sano con i device ogni altra soluzione lascerà sempre il tempo che trova.
Ma partiamo dalla notizia: la settimana scorsa è stata lanciata una petizione da parte di un ente privato e rivolta al Governo che chiede di vietare gli smartphone a chi ha meno di 14 anni e i social a chi ne ha meno di 16. I due pedagogisti, Novara e Pellai, chiedono al Governo italiano “di impegnarsi per far sì che nessuno dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze possa possedere uno smartphone personale prima dei 14 anni e che non si possa avere un profilo sui social media prima dei 16. Aiutiamo le nuove generazioni.”
Noi diciamo solo una cosa.
Proibire sposta il problema.
Facciamo un esempio molto semplice affidandoci a due dati:
- La legge 189 del 2012 vieta la vendita e la somministrazione di bevande alcoliche ai minori di 18 anni.
- Gli ultimi dati dell’Osservatorio nazionale alcol ci dicono che nel 2022 la fascia della popolazione in cui è stato registrato il più elevato numero di consumatori a rischio risulta essere quella dei 650.000 minori 11-17enni di entrambi i sessi.
Un divieto che non annulla né riduce il problema perché, legge a parte, non ci sono stati piani di prevenzione, politiche di promozione di stili di vita sani, ecc.
Il paragone è volutamente provocatorio perché è importante non farsi terrorizzare da una situazione che, evidentemente, ha parecchie criticità.
Per affrontare in modo più strutturato la questione abbiamo intervistato sul tema Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, Presidente della Fondazione “Minotauro”.
Serve davvero una legge che vieti l’utilizzo dello smartphone ai minori di 16 anni?
Uno dei problemi più drammatici degli ultimi anni è che, invece di educare i giovani al digitale, pensiamo solo a limitare il loro utilizzo con leggi che poi, nella pratica, non vengono rispettate. Questo ha fatto perdere credibilità agli adulti. Le uniche leggi efficaci sono quelle che gli adulti stessi rispettano. Ma poiché nessun adulto vuole rinunciare a qualcosa, si preferisce fare leggi in modo propagandistico, da slogan, senza reali misure applicabili. Non è realistico pensare che si possano attuare veri provvedimenti in questo ambito, senza un cambiamento più profondo nel comportamento degli adulti stessi.
Cosa stanno sbagliando i genitori nella gestione delle vite onlife di figli e figlie?
Il problema è più ampio e riguarda, come dicevo prima, la credibilità degli adulti in generale. Dare sempre la colpa ai genitori rischia di semplificare troppo la questione, mentre l’educazione oggi è complessa e si fonda su due aspetti principali. Primo, i genitori delegano spesso le funzioni di cura primaria ad asili e scuole, poiché, fortunatamente, l’identità femminile non trova più il suo apice solo nella maternità. Secondo, viviamo in una società massmediatica, immersa in una cultura adulta dove i ragazzi hanno molti modelli di riferimento oltre ai genitori: coetanei, insegnanti, educatori, allenatori, e persino politici, che incontrano attraverso internet e i media. Questi modelli influenzano il comportamento dei giovani. Il vero problema è che gli adulti devono assumersi la responsabilità di aver creato una società iperconnessa, a cui i ragazzi si sono dovuti adattare, e ora è necessario educarli a viverci consapevolmente.
Di fronte alla scelta del ministro Valditara di vietare l'uso dei cellulari in classe, anche per scopi didattici, cosa è importante dire agli insegnanti?
ll vero tema è un altro: nonostante durante la pandemia si sia detto che avremmo rimesso la scuola al centro, continuiamo a ignorare questioni fondamentali come la povertà educativa e digitale. Per quanto mi riguarda, lo smartphone potrebbe anche restare fuori dalle aule, ma chi riuscirà davvero a far rispettare questo divieto? Conosco dirigenti scolastici che ci provano da anni, ma per applicarlo servirebbe una politica seria, con controlli con metal detector, e bisognerebbe vietarlo anche agli insegnanti e ai genitori. Invece, gli adulti portano i cellulari a scuola, mentre ai ragazzi viene detto che fanno male. Invece di vietarli, dovremmo preoccuparci, almeno nelle scuole superiori, di insegnare ai ragazzi come utilizzare Internet e l’intelligenza artificiale in modo produttivo. Dovremmo discutere cosa significhi davvero apprendere oggi. Purtroppo, molti provvedimenti presi dai ministri sembrano più pensati per gli adulti che per i ragazzi. Si parla spesso di dati scientifici, ma ognuno sceglie quelli che più gli convengono. In realtà, nessuno sa dimostrare se il disagio giovanile dipende davvero da Internet, dai social network o dai videogiochi. Anzi, ricerche serie ci dicono il contrario. Ricordo che l’unica area vista con sospetto riguarda i videogiochi, ma misurare la "dipendenza da Internet" è praticamente impossibile, nonostante se ne parli spesso.
Nel futuro riusciremo a fare definitivamente pace con la tecnologia?
Non so se riusciremo a far pace con la tecnologia, perché è un concetto molto complicato. Spesso pensiamo alla tecnologia solo come Internet, ma ci sono molte altre innovazioni di cui non parliamo. La procreazione assistita, ad esempio, è una conquista tecnologica enorme. Per la prima volta nella storia, esistono generazioni per le quali il sesso non è più necessario alla sopravvivenza della specie. È una delle novità più straordinarie di sempre, ma nessuno ne discute. Quindi, il vero problema non è fare pace con la tecnologia. Il vero problema è aiutare i ragazzi a sentirsi parte di un futuro che gli adulti stanno costruendo. Dovremmo discutere con loro di questioni globali come il disboscamento, le guerre e i bambini che muoiono, invece di concentrarci troppo sui presunti danni causati dai social network e dai videogiochi. Tra l'altro, questi stessi social e videogiochi vengono promossi dagli adulti attraverso i comportamenti e le società che hanno creato.
Gli esempi positivi e utili dell’utilizzo degli strumenti digitali applicati alla didattica sono tanti. Casi virtuosi in cui sperimentazione ed educazione hanno convissuto in modo proficuo. Il CREMIT – Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media, all’Innovazione e alla Tecnologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – fa proprio questo, lavorare sull’innovazione didattica, sulla prevenzione educativa e sulla cittadinanza onlife.
Per approfondire il tema “digitale ed educazione” ci siamo affidati alle parole della Prof.ssa Alessandra Carenzio, membro del Comitato scientifico del CREMIT, esperta di Media Education e studio dei consumi mediali, e Prof.ssa associata di Didattica all’Università Cattolica.
L’impatto delle tecnologie nell’apprendimento.
Le tecnologie sono da tempo un supporto essenziale per la didattica, con strumenti come mappe concettuali e video. La pandemia ha accelerato l’uso di piattaforme come Twitch e TikTok, che hanno favorito la socializzazione e il benessere dei giovani. Ad esempio, iniziative come "Impara con TikTok" hanno trasformato una piattaforma di intrattenimento in uno spazio di accesso a contenuti di interesse per lo studio
La gestione del carico cognitivo.
Un aspetto cruciale però dell'uso delle tecnologie nell'apprendimento è la gestione del carico cognitivo. Questo concetto riguarda l'equilibrio tra la quantità di informazioni che una persona può elaborare e il modo in cui queste informazioni vengono presentate. Sicuramente contribuiscono i troppi colori o elementi visivi eccessivi nelle risorse digitali. È importante che gli studenti imparino a gestire il carico cognitivo, organizzando le informazioni e categorizzando i contenuti in modo efficace. Ad esempio, strumenti come mappe concettuali o video brevi e ben organizzati possono facilitare la comprensione e ridurre il sovraccarico mentale.
L’importanza della produzione di contenuti.
La creazione di contenuti, invece di un consumo passivo, è altrettanto importante. Gli studenti dovrebbero essere incoraggiati a produrre contenuti propri, come ad esempio i podcast, che permettono di elaborare, approfondire e sintetizzare le informazioni.
Superare il multitasking e migliorare la concentrazione.
Un altro punto fondamentale è il problema del multitasking, che spesso compromette la concentrazione e riduce la qualità dello studio. Il multitasking non è una conseguenza esclusiva delle tecnologie, ma è amplificato dall’uso di dispositivi che presentano molte distrazioni. È importante aiutare gli studenti a focalizzarsi su un compito alla volta, creando spazi di studio adeguati e riducendo le interferenze digitali, come le notifiche.
L'approccio educativo alla tecnologia.
L'uso delle tecnologie nell’apprendimento non deve essere visto solo come un supporto strumentale, ma deve essere inserito in un contesto culturale ed educativo più ampio. La media education, da sempre, ha sottolineato l'importanza di educare all'uso consapevole dei media, offrendo agli studenti strumenti per comprendere come funzionano i motori di ricerca, l'intelligenza artificiale, e i vari linguaggi digitali.
L’integrazione di approcci diversificati è fondamentale. Ad esempio, la ripetizione ad alta voce, la lettura, la sottolineatura e la presa di appunti a mano restano pratiche importanti per l'apprendimento e devono coesistere con i nuovi strumenti digitali.
In conclusione.
L'apprendimento digitale richiede un approccio equilibrato e consapevole, che permetta di sfruttare al meglio le tecnologie senza compromettere la concentrazione e il benessere degli studenti. L’uso delle tecnologie deve essere supportato da una solida educazione ai media, che aiuti gli studenti a comprendere le implicazioni etiche e culturali del digitale. Solo così potremo garantire un apprendimento significativo, interattivo e produttivo.
Siamo consapevoli dell'urgente evidenza di costruire un piano di educazione digitale che parta dalla scuola, passi dalla famiglia e coinvolga anche la società civile.
Allo stesso tempo siamo consapevoli che una soluzione semplice come dire “no agli smartphone per i minori di 14 anni” è difficile da mettere in atto e posticipa un problema che con il tempo diventerà ancor più grande: lo sviluppo di una cittadinanza digitale piena e completa.
I nostri ragazzi e le nostra ragazze dobbiamo ascoltarli e accompagnarli, dobbiamo fare in modo che si fidino di noi adulti.
Vuoi approfondire ancora il tema smartphone minori?
Ti lasciamo qui alcuni articoli:
Lo scorso venerdì siamo stati ospiti de “Il tempo delle donne”, un’iniziativa che il Corriere della Sera organizza in collaborazione con la 27esimaora a Milano ormai da diversi anni.
Abbiamo partecipato al momento dal titolo
“Figli&Genitori: qualcosa è cambiato”.
Qui il video.