Ciao!
Questo numero de “Il Megafono giallo” lo iniziamo così, con i titoli di queste ultime ore. Pagine e pagine di dettagli macabri, violenti e disturbanti.
Parole su parole che ci obbligano a porci alcune domande:
1) A cosa ci servono questi dettagli? Perché noi cittadini dobbiamo conoscere la dinamica esatta di come Filippo Turetta abbia ucciso Giulia Cecchettin?
2) Quali sono le responsabilità del sistema mediatico nel rendere disponibili dettagli così morbosi?
3) È rispettoso nei confronti della famiglia? Come si saranno sentiti il padre e la sorella nel rivivere, ancora una volta, questo dolore profondo?
Potremmo pensare che le risposte siano ovvie, ma è importante ricordare che questo tipo di narrazione alimenta quella che possiamo definire “pornografia del dolore”. Dettagli crudi e violenti che non contribuiscono alla nostra comprensione, ma piuttosto perpetuano una cultura del morboso.
Quello che dobbiamo davvero sapere è che una persona, cresciuta in una cultura violenta e patriarcale, ha tolto la vita a un'altra persona. Una donna.
Come disse Elena Cecchettin, sorella di Giulia, durante un monologo al Salone del Libro di Torino: "Resistiamo a questa società che ci vuole violenti e aggressivi, perché siamo noi che costituiamo la società e noi che abbiamo il potere di cambiarla".
C’è forse una parola per rispondere alla prima domanda ”Perché noi cittadini dobbiamo conoscere la dinamica esatta di come Filippo Turetta ha ucciso Giulia Cecchettin?” e questa parola è “Doomscrolling”.
La traduzione letterale in italiano è "scrollare verso il baratro", ovvero la tendenza a navigare ossessivamente su internet alla ricerca di notizie negative, come cronaca nera, disastri, tragedie o altre informazioni che generano ansia e preoccupazione.
Un esempio offline di questa cattiva abitudine? Hai presente quando incrociamo un incidente stradale e rallentiamo per vedere cosa è successo? Più o meno la stessa cosa ci accade online. Un comportamento che però può avere conseguenze negative sulla nostra salute mentale perché generatore di ansia, alterazione dell’umore, ecc…
E ci sono anche le fake news…
La «palpata breve» non è reato. Il bidello assolto a Roma perché durava solo «una manciata di secondi»
Questo era uno dei titoli che riassumeva la vicenda del bidello 66enne assolto dall'accusa di violenza sessuale per aver toccato brevemente i glutei di una studentessa di 17 anni. Implacabile quei giorni era partita l’onda di indignazione social, fatta di raccolte firme, video virali di influencer, strumentalizzazioni politiche e mobilitazioni mediatiche. Dopo quasi un anno però si scopre che la notizia era una fake news, ma
“La Repubblica”, lo stesso giornale che aveva riportato tra i primi quella sentenza,
ha pubblicato un articolo di rettifica. La redazione ha precisato che nella motivazione della sentenza, presieduta dalla dottoressa Maria Bonaventura, non è mai stato affermato che un tocco breve non costituisce reato.
“Con riferimento alla vicenda giudiziaria del bidello accusato di molestie da una studentessa e successivamente assolto dal Tribunale penale di Roma — di cui la Repubblica si è occupata con gli articoli dell’08.07.2023, 09.07.2023, 17.07.2023, 26.07.2023, 27.07.2023, 30.09.2023 — la Redazione intende precisare che nella motivazione della sentenza n. 10917/2023 della 5^ Sezione Penale Collegiale del Tribunale di Roma, presieduta dalla Dottoressa Maria Bonaventura:
1) non è mai stato affermato che la “la palpata breve non è reato” ma al contrario si afferma che la condotta dell’imputato “integra sicuramente” un’azione riconducibile al reato di violenza sessuale;
2) è stato affermato chiaramente che, anche in presenza di un eventuale intento ludico e/o scherzoso, il fatto sarebbe comunque penalmente punibile laddove sussistesse conferma dell’intenzionalità di ledere la libertà sessuale altrui da parte dell’imputato;
3) è stato tuttavia evidenziato come, all’esito dell’istruttoria svolta, non si è giunti all’accertamento “oltre ogni ragionevole dubbio” che l’imputato avesse toccato intenzionalmente la studentessa nella zona erogena.”
Insomma, cosa possiamo dedurre da questa storia?
Che la responsabilità dei media di informazione è fondamentale per lo svolgimento di un dibattito pubblico sano e utile allo sviluppo della comunità.
Proprio nei giorni scorsi, il Presidente Mattarella ha parlato di disinformazione durante i colloqui con la presidente moldava Maia Sandu a Chisinau, capitale della Moldavia. Nello specifico, si è concentrato sulla disinformazione organizzata come strumento di scontro tra Paesi, riferendosi alla campagna di disinformazione russa che “è insistente in tutta Europa e va affrontata in sede Ue e in sede Nato”.
Le emoji sono diventate uno strumento per comunicare in modo rapido e visivo, ma i diversi usi culturali e generazionali continuano a creare ostacoli alla comunicazione.
Secondo un nuovo rapporto della piattaforma di educazione linguistica Preply, otto americani su dieci sono rimasti confusi e disorientati dall’uso delle emoji nelle chat, quindi l'81%.
Questo accade quando qualcuno invia un'emoji che sembra fuori contesto alla persona dall'altra parte, ma ha perfettamente senso per il mittente.
L’emoji che crea maggiore confusione? È quella che raffigura un dito con lo smalto. Mentre il 40% usa l'icona per indicare classe o eleganza, altri dicono che significa "solo smalto per unghie", "Non preoccuparti di me" e "cura di sé". Vuoi scoprire le altre?