E proprio per comprendere meglio il tema, il prof. Boccia Artieri, Professore Ordinario e Direttore del Dipartimento di Scienze della Comunicazione dell’Università Carlo Bo di Urbino, ha scritto per noi un approfondimento che ti lasciamo qui sotto.
di Giovanni Boccia Artieri
Quando parliamo dello stato del dibattito pubblico spesso ci soffermiamo sulle trasformazioni dell’informazione e della comunicazione che sarebbero state imposte dalla diffusione del web e dei social media, e che ne mutano la natura stessa in direzione di un inciviltà del linguaggio della politica, di una crescita di polarizzazione delle opinioni che porta allo scontro e della diffusione di informazioni false.
Ma è veramente colpa di internet e dei social media? O non è forse che ciò che osserviamo sono i sintomi di un malessere le cui radici sono più profonde?
Lasciamo cioè spesso sullo sfondo del cambiamento le trasformazioni dei soggetti politici, come se fossero attori di secondo piano costretti a interpretare una parte stabilita da altri; o le logiche editoriali delle organizzazioni mediali, come se non avessero più né controllo né responsabilità sulle informazioni prodotte e messe in circolazione; o non riflettiamo abbastanza su quali siano più in generale le tensioni sociali e culturali che hanno portato all’ascesa del populismo e all'accentuazione della polarizzazione all’interno di diverse democrazie.
Ciò che è vero è che il contesto in cui avviene il dibattito pubblico è un contesto “disintermediato”, fatto di rapporti diretti e di nuove mediazioni in cui troviamo accanto agli attori tradizionali – politici, giornalisti, ecc. – nuovi soggetti, come le piattaforme online, gli influencer e le persone più comuni. Il web e le piattaforme producono una nuova visibilità di quei discorsi che prima erano riservati a luoghi privati mettendoli in pubblico e ripensano le dinamiche di potere che rendono visibili i discorsi sulla politica anche attraverso una presa di parola “dal basso”.
Insomma: rendono possibile collegare contesti che prima erano separati, innestandosi su cambiamenti strutturali che la parabola della politica sta affrontando, come quella della leaderizzazione sempre più spinta e di una democrazia dei pubblici.
Il dibattito pubblico di oggi, nasce da una sorta di collage nel quale confluiscono voci e posizioni autorevoli e ufficiali; voci dell’opposizione; voci minoritarie che chiedono rappresentanza; voci di cittadini scoraggiati o indispettiti; voci di troll di professione che cercano di aumentare il volume del rumore e altre voci che appaiono di volta in volta in rappresentanza di istanze diverse. Che tutto ciò produca un effetto cacofonico è sicuramente. Ma lo è allo stesso tempo altrettanto il fatto che, nonostante tale cacofonia, sia possibile individuare i temi al centro del dibattito e le relative posizioni.
In un continuo gioco di rimandi tra piattaforme, siti web, motori di ricerca, gruppi su WhatsApp, telegiornali, quotidiani di informazione e talk show politici, hanno modo di emergere tematiche e posizioni assunte dai diversi attori in campo. I processi di ibridazione del sistema mediale, con circuiti di feedback crescenti tra online e offline, e le dinamiche di convergenza mediale che hanno esaltato, anche ideologicamente, l’empowerment comunicativo dei cittadini-utenti, si trovano così al centro della costruzione di un dibattito pubblico sul quale viene meno la possibilità di esercitare quelle forme di potere comunicativo proprie dell’era della carta stampata e della televisione.
È questo il campo, oggi, in cui si rendono visibili le voci della democrazia. Prendersi cura di questo ambiente e abbassare il livello di tossicità è un compito che come istituzioni e cittadinanza dobbiamo cominciare ad affrontare seriamente, anche chiedendo nuove regole di “cura” alle piattaforme.
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