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E se a insultare sono i genitori. Intervista a Alberto Pellai

20/03/25

Leggendo le notizie di questi mesi e scrollando sui social ci hanno impressionato il numero e la frequenza delle notizie di genitori che, durante le partite dei propri figli, insultano avversari e arbitri, anzi… arbitre. Già, hai letto bene, genitori che la domenica oltre alla tuta indossano la loro peggiore versione a discapito di figli e figlie, di altri genitori e di loro stessi.
In quasi tutti i casi la violenza degli insulti ha due specifiche connotazioni: il razzismo e il sessismo. Di cosa stiamo parlando? Ti lasciamo un breve riassunto qui.
Rimini - Campo di basket - Febbraio 2025
"Ma non ti vergogni? Sei una scimmia”. Le urla di una madre dagli spalti di una partita di basket femminile under 19 rivolgendosi a una giocatrice nera.
Asti - Campo di minibasket - Febbraio 2025
Genitori insultano due arbitre di 13 anni durante una partita.
Nichelino (Torino) - Campo di basket - Febbraio 2025
Le gare dei bambini, categoria Esordienti classe 2013, degenerano con insulti e un’invasione di campo da parte dei genitori.
Roma - Campo di calcio - Marzo 2025
"Ma come fa una femmina (ad arbitrare), ma non si è mai visto. Ma vai a fare gli gnocchi. Ma questa non capisce un c... poi
“. La telecronaca in diretta su YouTube del papà di uno dei giocatori.
Motta di Livenza (Treviso) - Campo di basket - Marzo 2025
"Vai a fare la prostituta”
. Su un campo di basket, Divisione Regionale, la madre di un giocatore della squadra di casa ha apostrofato ripetutamente l'arbitra ventenne impegnata a dirigere la partita con insulti sessisti.
Odio. Rabbia. Violenza.
Episodi che non sono fatti isolati, ma il sintomo di un problema più profondo.
Perché chi urla contro un’arbitra sta dicendo a tutte le bambine che quel ruolo non è per loro. Chi insulta una giocatrice per la sua pelle sta dicendo a tutti che il talento si misura con il pregiudizio. Chi minaccia adolescenti che arbitrano un torneo sta dicendo che l’autorità si contesta con la prepotenza, non con il confronto. Anche le parole che scegliamo sugli spalti creano cultura, forgiano comportamenti, modellano il modo in cui le giovani generazioni si percepiscono e percepiscono il mondo.
Abbiamo approfondito il tema con Alberto Pellai, medico psicoterapeuta dell’età evolutiva e figura di riferimento per il parenting e la psicologia evolutiva in Italia.
Prof. Pellai, cosa spinge alcuni adulti a trasformare una partita giovanile in un’arena di insulti e violenza verbale? È solo frustrazione o c’è un problema educativo più profondo?Quando gli adulti assistono alle competizioni sportive dei propri figli, spesso entrano in una mentalità agonistica. Guardano i ragazzi con lo stesso sguardo con cui osserverebbero un preparatore atletico, come se il loro unico obiettivo fosse la vittoria. Questo li porta a "scendere in campo" con loro, perdendo il controllo sulle proprie emozioni e reazioni.
Il problema è che, da spettatori e tifosi, diventiamo molto più vulnerabili agli impulsi emotivi e ai nostri pensieri. Se non siamo persone capaci di autoregolazione, ogni evento sul campo può diventare un innesco che scatena le nostre peggiori reazioni. Ecco perché alcuni genitori finiscono per perdere completamente il controllo: travolti dall’agonismo, dimenticano il proprio ruolo e si lasciano andare a comportamenti impulsivi e aggressivi.
In questi momenti, si smarriscono i confini tra il sostegno sportivo e l’iper-competitività, fino a dimenticare che in campo non ci sono adulti professionisti, ma solo ragazzi e ragazze che stanno giocando. Non è la finale di Champions League, è semplicemente una partita tra coetanei. Il genitore, invece, dovrebbe essere il primo allenatore emotivo dei figli, accompagnandoli in un’esperienza di crescita. Guardare una partita dovrebbe significare vedere i propri figli divertirsi, mettersi alla prova e comprendere che ciò che conta non è vincere o perdere, ma partecipare.
Quali sono le conseguenze psicologiche e comportamentali sui giovani atleti quando gli insulti arrivano proprio da chi dovrebbe sostenerli, ovvero le figure genitoriali?I giovani soffrono molto nel vedere i propri genitori perdere il controllo. Questo per due motivi principali: innanzitutto, un adulto che si lascia andare a reazioni incontrollate può risultare spaventoso. I ragazzi si aspettano che i genitori sappiano sempre fare la cosa giusta, e quando li vedono comportarsi nel modo peggiore possibile, provano un senso di disorientamento.
Inoltre, c’è un altro aspetto da considerare: molti giovani, osservando i propri genitori in preda all’agitazione, sperimentano un profondo senso di imbarazzo e vergogna. Non è raro che, nelle sedute con uno psicologo, alcuni ragazzi esprimano il desiderio di non avere i propri genitori sugli spalti, proprio perché li trovano eccessivi.
Bambini e adolescenti imparano più dalle parole o dagli esempi? Quanto è pericoloso, per la loro crescita, assistere a comportamenti di odio e discriminazione proprio da parte dei genitori?Gli adulti sono modelli di riferimento: con il loro comportamento insegnano, anche inconsapevolmente, come si sta al mondo. Per questo motivo, i genitori dovrebbero porsi limiti e sviluppare capacità di autoregolazione. Un adulto arrabbiato non dovrebbe lasciarsi andare a esplosioni di rabbia, ma piuttosto mostrare a un figlio come gestire ed elaborare questa emozione in modo maturo ed evoluto.
Quando un genitore si comporta in modo aggressivo sugli spalti, sta insegnando – direttamente o indirettamente – che la rabbia e la frustrazione devono essere sfogate in modo violento. I figli, partita dopo partita, interiorizzano questo modello e lo riproducono nella loro vita.
Le ricerche confermano che un bambino esposto a figure di riferimento prepotenti e aggressive tenderà a incorporare questi stessi atteggiamenti nel proprio modo di interagire con gli altri. Se un figlio vede il proprio genitore urlare, insultare o aggredire qualcuno, imparerà che quello è un comportamento accettabile. E così, giorno dopo giorno, la violenza verbale e la sopraffazione diventeranno parte della sua normalità.